Palazzo Testasecca

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Nel fitto tessuto ottocentesco di Corso Vittorio Emanuele, il Palazzo Testasecca emerge come elegante manifesto della stagione borghese nissena.

Palazzo Testasecca

Fu la dimora di rappresentanza del conte Ignazio Testasecca, magnate dell’industria dello zolfo e filantropo, che impiegò parte dei proventi minerari per istituire opere pie e sostenere la modernizzazione della città. Realizzato nella seconda metà dell’Ottocento, l’edificio adotta un registro neoclassico temperato da inserti eclettici; la facciata, progettata dall’ingegner Luigi Greco, sovrappone al sedime medievale un ritmo di finestre timpanate e di balconi in ferro battuto che culminano nel portale bugnato sormontato da una balconata a balaustra lapidea, segno tangibile dell’ascesa sociale della nuova aristocrazia industriale. 

All’interno, il piano nobile si apre su un atrio voltato che introduce a sale affrescate con motivi floreali, grottesche e cartigli celebrativi: un sontuoso décor “alla pompeiana” in cui si fondono gusto liberty e suggestioni barocche, testimonianza dell’eclettismo di fine secolo. 

Il palazzo ospitò ricevimenti, concerti e summit politici (qui furono discusse le prime misure di tutela dei “carusi” delle zolfare) e accolse personalità come il premier Francesco Crispi, grande estimatore del conte; ancora oggi sopravvive la cappella familiare con pavimento alla veneziana e l’originario ascensore a contrappesi, rarità tecnologica per l’epoca. Se l’esterno conserva i sobri colori miele della pietra locale, l’interno sorprende per la luce diffusa da un lucernario policromo che inonda lo scalone con riflessi lagunari, facendo vibrare stucchi e specchiere dorate. 

Dopo un periodo di parziale abbandono, i discendenti ne avviarono il restauro conservativo: oggi alcuni ambienti sono sedi di studi professionali e di piccole mostre, mentre l’androne, aperto durante le “Vie dei Tesori”, consente di ammirare il fregio in stucco con gli stemmi intrecciati delle famiglie Testasecca e Longo. Il palazzo, incorniciato dai prospetti coevi di Benintende e Tumminelli-Paternò, racconta con un unico sguardo la parabola di Caltanissetta tra epopea mineraria, mecenatismo sociale e raffinata civiltà urbana, restituendo al visitatore l’atmosfera sofisticata di una città che, fra Ottocento e Novecento, amava definirsi “piccola Atene” dell’entroterra siciliano.

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